Un diritto riservato a Impero Austro-Ungarico, Francia e Spagna
Il periodo del potere temporale della Chiesa, sebbene imbarazzante dal punto di vista della coerenza, è stato foriero di implicazioni storiche che hanno determinato l’evoluzione storico-geografica, ma anche culturale dell’Occidente.
Fra le varie accezioni storiche ne va enumerata una che oggigiorno appare assurda: il diritto di veto sull’elezione del Papa.
A rendere ancora più strana ai nostri occhi questa prerogativa, è che non era riservata a motivazioni di ordine dottrinale, ma piuttosto a opportunità politiche.
A godere di tale diritto, erano i Capi di Stato, Re o Imperatore, dell’Impero Austro-Ungarico, di Francia e di Spagna, in virtù di aiuti, interventi o eventi di supporto forniti allo Stato della Chiesa, e premiati con questa grande facoltà, che si chiamava Jus esclusivae.
La prima volta che lo Jus esclusivae fu utilizzato correva l’anno 1605 e fu fatto valere dalla Spagna alla morte di Leone XI, il quale regnò addirittura meno di Luciani (solo 26 giorni). Risultò eletto il Cardinale Camillo Borghese, capo dell’Inquisizione romana, che regnò col nome di Paolo V.
Trentanove anni più tardi la Spagna pose ancora il veto, questa volta contro il Cardinale Giulio Cesare Sacchetti. Alla morte di Papa Urbano VIII fu eletto perciò Giovanni Battista Pamphilj, il quale scelse il nome di Innocenzo X, e che era un esperto giurista come il Sacchetti, oltre ad aver collaborato con lui per alcune norme legali. Il fatto curioso è che anche su Pamphilj fu pronunciato un veto, questa volta da parte della Francia, ma il Cardinale Mazarino arrivò a presentarlo quando ormai Pamphilj era stato eletto.
Il diritto di veto riservato ai tre Stati che abbiamo citato, durò addirittura fino al 1904, ovvero un anno dopo essere stato utilizzato dall’Austria-Ungheria.
Avvenne che, per mezzo del Cardinale Jan Puzyna, Arcivescovo di Cracovia, e «cardinale della corona», venne presentata la seguente lettera in latino, ma qui tradotta in italiano:
«Mi faccio onore, essendo stato chiamato a questo ufficio da un ordine altissimo, di pregare umilissimamente Vostra Eminenza, come Decano del Sacro Collegio degli Eminentissimi Cardinali di Santa Romana Chiesa, e Camerlengo, di voler apprendere per sua propria informazione e di notificare e di dichiarare in modo ufficioso, in nome e con l’autorità di Sua Maestà Apostolica Francesco Giuseppe, Imperatore d’Austria e Re d’Ungheria, che volendo Sua Maestà usare d’un antico diritto e privilegio, pronuncia il veto d’esclusione contro il mio Eminentissimo Signor Cardinale Mariano Rampolla del Tindaro».
Rampolla era allora il più accreditato candidato alla successione di Leone XIII, il Papa della «Rerum Novarum». Era però ritenuto troppo amico della Francia, che a quel tempo era nemica dell’Austria. Francesco Giuseppe fu sostenuto nel suo veto anche dalla destra francese che accusava Rampolla di essere troppo tenero nei confronti della massoneria, nonche di appartenenza a un ordine neo-templare.
Sebbene obtorto collo, i Cardinali soppressoro la candidatura di Rampolla, e fu eletto Giuseppe Sarto, ovvero Pio X, che sarebbe poi divenuto santo.
Fu proprio Pio X, che aveva beneficiato del veto, ad abolirlo nel 1904.