Ci lasceranno fare quanto fecero i nostri padri nel dopoguerra?

Ci lasceranno fare quanto fecero i nostri padri nel dopoguerra?

Per ripartire serve un nuovo miracolo, ma non dipende solo da noi.

Domani l’Italia si presenterà al vertice europeo dei capi di governo. La nostra economia è quasi a rotoli. Lo spread sta risalendo. La previsione del calo del PIL è del 15%. Alcuni osservatori strombazzano che si tratterà di una riunione inutile. Ma ciò non sarà, perché ogni Stato vorrà impostare i presupposti per la propria sopravvivenza.

Una situazione del genere l’hanno vissuta i nostri padri e nonni al termine della seconda guerra mondiale, ma diede spinta a quello che il mondo definì “il miracolo italiano”. Questo significa che abbiamo nel DNA nazionale la potenzialità di reagire.

Vediamo però quali sono alcune delle cose che sono cambiate da quel tempo.

Mi rifiuto di pensare che i nostri giovani non possano dare prova di coraggio. È vero, molti sono e altri sembrano “bamboccioni”, ma non sono ancora stati chiamati alla prova.

Tanti tra loro sono già stati toccati dalla disillusione di un mondo che prima promette e poi non dà. E queste sono cose che provano l’intimo di chiunque. Quello che dovremmo fare è indagare suli strumenti che essi potranno avere a disposizione.

Analizziamo quindi il panorama del 1946.

Nel secondo dopoguerra del secolo scorso esistevano due blocchi contrapposti (USA e URSS) che cercavano l’egemonia in Europa. Vi fu una spartizione netta tra Est e Ovest e ognuna delle due superpotenze pascolò nel proprio campo.

Per attirare l’Italia, Paese di confine, l’USA mise in campo il Piano Marshall, con tanti miliardi dell’epoca a fondo perduto. Non fu un regalo, ma un investimento che consentì agli Yankees di vendere e comprare. Insomma, ripartendo l’economia italiana, gli statunitensi furono i primi beneficiari in ambito economico, politico, strategico e militare.

Oggi il sistema globale non consentirebbe più un investimento a fondo perduto. I “beneficiari” avrebbero troppe opportunità di girare economicamente le spalle al “benefattore”.

Prendiamo in considerazione ora il fattore ontologico. L’uomo del 1946 veniva da 20 anni di dittatura. Un inquadramento che ha effetti contrastanti. Se da una parte può fiaccare lo spirito politico può stimolare una voglia di indipendenza che dà impeto alle forze e al pensiero.

Anche fermandoci solo a questi due fattori, ovvero situazione globale e sentimenti interiori, possiamo notare due grandi differenze.

Come rialzarci?

La soluzione quindi non può ripercorrere le vie del secondo dopoguerra, almeno per quanto riguarda la speranza di aiuto da parte di terzi. Ne deriva perciò che la spinta deve arrivare dal nostro interno. O meglio, dall’interno dei nostri giovani, che dovranno recuperare lo spirito dei nostri padri. Una prova di orgoglio e di maturità che deve esulare dalle appartenenze partitiche ma anche da quelle ideologiche.

Un vecchio (e prolisso) detto, recita: “Uomini forti fanno tempi felici; tempi felici fanno uomini deboli; uomini deboli fanno tempi duri; tempi duri fanno uomini forti.

È innegabile che stiamo vivendo tempi duri. Di conseguenza saranno gli uomini forti a farci rivedere la luce!

Ma quali sono i mezzi che possiamo mettere a disposizione degli uomini forti? Non certo l’eccessiva burocrazia. E neppure un mondo che bada alla forma più che alla sostanza. È il momento di unirci tutti insieme, remare nella stessa direzione. È ora che si esca dall’iniqua trappola in cui ci hanno rinchiuso le lotte sociali e razziali.

Serve recuperare la concretezza e non perdersi in ciance inutili. Questo è quanto i politici devono tenere a mente. Tutto resto sta a zero!

 

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