L’ uomo nero è di tanti colori

 

In questi ultimi giorni è difficile leggere notizie i commenti e le statistiche.

Soprattutto è difficile intravedere i volti di chi magari ci passa accanto dietro a quei numeri e, tutto questo parlare e scrivere la propria opinione sui social, sottovaluta una osservazione che tutti dovremmo essere in grado di fare.

Dovremmo essere in grado di guardare oltre. Di cercare quello che, molte volte, non vede la luce del sole.

Non sapremo mai quanti episodi, partendo dall’infanzia fino all’ età adulta, coinvolgono le vittime di abuso la maggior parte delle quali sono di sesso femminile.

Le violenze perpetuate possono essere di modalità e grado differente ma tutte continueranno a vivere nella memoria di ogni donna che l’ha provata.

Alcune sono spesso sottovalutate ma partono – non insorgete perché sto parlando di deviazione e non sto accusando tutti i genitori che accudiscono i figli – da un’igiene intima troppo meticolosa che nulla ha a che fare con la reale necessità di pulizia e passano attraverso la toccatina sul bus o ai commenti pesanti quando si passeggia per strada.

Purtroppo sì arriva ai casi eclatanti che la cronaca ha portato alla ribalta in questi ultimi giorni e tutta  questa indignazione, oserei dire di parte, evita di guardare il fenomeno con occhi attenti. Molte volte perché fa comodo. Pensare che chi ci somiglia è una brava persona ci aiuta a non farci troppe domande.

Il sommerso, quando la vittima è una bambina, è dovuto al fatto che l’80% dei persecutori sono persone di famiglia. La bambina che subisce violenza è confusa, incredula  ed è incapace di chiedere aiuto.

La paura di non essere credute

La paura di non essere credute, di essere giudicate e non aiutate accompagna le vittime di violenza per tutta la vita. Quanto conta il parere degli altri? Quante volte in sedi competenti si domanda alla vittima perché non ha gridato, perché non si è ribellata, perché non si è difesa? 

L’atteggiamento confuso e reticente della vittima porta inevitabilmente ad una conclusione pregiudizievole nei suoi confronti . In un certo senso il giudizio sotteso è inequivocabile. Chissà se la vittima ha gradito la violenza e, se così non è, per quale motivo non ha fatto nulla per evitarla?

È inconcepibile lo so ma, purtroppo, il provare a difendersi  appare come una componente necessaria per essere credute nei casi di stupro. Non aver posto resistenza fa apparire il reato più o meno grave.

Dei ricercatori svedesi hanno messo in luce come nei casi di violenza sessuale si manifesti una reazione di congelamento. È una sorta di paralisi temporanea che impedisce anche di parlare e di urlare. Questa reazione è abbastanza frequente nelle vittime che subiscono uno stupro.

È tipico di molte specie animali che la usano come unica arma di sopravvivenza. Alcuni animali attuano la tanatosi. Si fingono morti per sopravvivere.

La maggior parte delle donne non denuncia per paura di essere giudicata o  per paura di non essere creduta.

Non è facile riconoscere l’uomo nero.

L’uomo nero, molte volte, vive in casa con noi o, forse, lavora nella scrivania di fianco alla nostra. A volte lo incontriamo per caso al supermercato o magari andiamo da lui a farci visitare se stiamo poco bene. Non sono i ruoli, i titoli o le divise a fare di un uomo una persona perbene.

Magari ha il colore della pelle uguale a quello degli stupratori di Rimini ma potrebbe anche indossare una divisa da carabiniere.
Anche in questi casi il giudizio è stato e sarà differente. I commenti sui social  si sono sprecati. Ho letto cose sconvolgenti. Non ci si preoccupa dello stupro come atto ignobile verso la persona ma di chi lo ha commesso. Come se per la vittima potesse rappresentare una differenza essere violentata da un maschio autoctono o da un immigrato. Ho visto anche una vignetta che suggeriva questa domanda.

Ma quanto conta l’opinione pubblica?

Nel primo caso l’indignazione pubblica e la gogna mediatica si sono concentrate ed accanite sul diverso da noi. Su colui che deve stare a casa propria e non venire  qui a violentare  le nostre donne. Nel secondo si è concentrata su due ragazze straniere che si sono affidate  nelle mani di chi il nostro Stato lo deve proteggere.

Ed ecco il giudizio che più ci fa comodo.

Sicuramente le ragazze erano due poche di buono, avevano bevuto troppo, non si sono difese, si sono inventate tutto. Forse anche loro dovevano starsene a casa propria!

Io credo che giudicare pesantemente le reazioni di chi invece dovrebbe essere difeso ci renda tutto un po’ colpevoli. Magari  nessun tribunale ci condannerà ma, prima o poi, dovremmo renderne conto alla nostra coscienza.

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