Parmenide: essere e esistere, essere È esistere

Parmenide: essere e esistere, essere È esistere

Il pensiero del grande eleatico che fu definito pazzo da Aristotele

Se fosse possibile sintetizzare il pensiero di Parmenide in poche parole, forse le più opportune sembrerebbero banali: «l’essere è, il non essere non è».

Fermandoci qui saremmo propensi probabilmente a concordare con Aristotele, che sebbene prudentissimo, si espose fino a parlare di Parmenide in un ambito di manìai (dal greco = pazzie).

Ma se riflettiamo, la frase è tutt’altro che banale o insulsa. Già un senso lo troviamo se intendiamo «essere» nella sua accezione di «esistere». In pratica ciò che non è, non esiste.

Non essere qualcosa, per Parmenide significava dunque non esistere. Il tutto va però ricondotto alla filosofia del suo tempo, che era concentrata sulla ricerca dell’arché (dal greco = principio), ovvero di quell’elemento che ha determinato la nascita dell’universo.

Il filosofo di Elea ha suggerito che l’essere, ovvero l’esistere, non sia l’insieme delle cose del mondo, ma un «qualcosa» non scomponibile che è comune a tutte le cose.

Con un ragionamento logico Parmenide cerca inoltre di dimostrare che l’essere è eterno. Se l’essere si generasse, infatti, proverrebbe dal non essere. Ma l’assunto dice che il «non essere» non esiste. Quindi l’essere non può provenire dal non essere, e non può neppure scomparire, perché cadrebbe nel non essere. Di conseguenza l’essere è eterno. Ed essendo eterno è anche immutabile, in quanto ogni cambiamento lo porterebbe a non essere ciò che è.

Il filosofo parte da queste prime considerazioni per arrivare a immaginare «l’essere». Asserì che deve essere sferico, perché non può avere interruzioni (che sarebbero «non essere»), e anche unico, perché altrimenti tra un «essere» e un altro «essere» ci sarebbe il «non essere» che non esiste. Ma «l’essere» deve anche essere immobile, perché muovendosi passerebbe per il «non essere»

Nel chiedersi cosa è «l’essere» e cosa è il «non essere» Parmenide arriva a convincersi che è tutta una doxa (dal greco = opinione illusoria). Da qui il pensiero abbracciato da alcuni che il mondo sia un’illusione. Ma per Parmenide l’illusione è reale e fa parte del mondo in quanto parte dell’essere. Questa fu la risposta che Parmenide diede a se stesso per risolvere come «l’essere» che è ipotizzato come unico, immutabile, ecc., possa far parte di ogni cosa che esiste.

Con Parmenide si chiude di fatto un’epoca filosofica che ha caratterizzato i pensatori pre-socratici che ragionavano circa l’origine dell’universo. Talete (acqua), Anassimandro (àpeiron), Anassimene (aria), Empedocle (radici), Anassagora (semi), Democrito (atomi) …

Tra il IV e il V secolo fanno la loro comparsa i sofisti, i quali trasformarono la filosofia in una professione (e che infatti si facevano pagare). Ricordiamo Gorgia e Protagora che si allontanarono dall’interesse sulla natura per concentrarsi sull’uomo, indagandone virtù e aspettative.

 

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