Calcio senza più limiti: parte la Liga miliardaria

Calcio senza più limiti: parte la Liga miliardaria

Al via il Campionato spagnolo dei record.

“Sempre più in altoooo”. Questa affermazione di “mikeiana” memoria pare adattarsi a pennello alla Liga, il campionato spagnolo di calcio che prende il via oggi con il match tra il Barcellona e l’Athletic Bilbao.

Catalani e Baschi fungeranno da starter in quello che in questa estate è stato definito il torneo miliardario. Il calciomercato iberico ha raggiunto infatti la fantastica cifra di 1,2 miliardi di Euro di spese. Sfondando di 200 milioni il precedente record stabilito lo scorso anno.

Il solo Real Madrid ha distribuito sul mercato ben 300 milioni, seguito dai rivali del Barça con 255, e dai cugini del Atletico Madrid che di milioni ne hanno speso “solo” 240. Si tratta di un resoconto che ci mette di fronte ad un fatto inequivocabile: il calcio non ha più limiti.

Le spese dei club spagnoli sono solo la punta di un iceberg formato da tutte le maggiori squadre europee. E testimonia un giro di denaro che raggiunge vette inimmaginabili.

Il crescere degli investimenti dei club trascina ovviamente gli ingaggi percepiti dai calciatori, che si calcolano in importi da brivido.

Se dal punto di vista etico e morale certe cifre sono difficilmente accettabili e giustificabili, sotto l’aspetto economico trovano una loro logica nei ritorni finanziari di un sistema che sta divenendo un modello comune in tutto il mondo e in svariati sport.

Si tratta comunque di un problema che fa accrescere a dismisura il tasso di rischio delle società calcistiche, creando inoltre un varco sempre più profondo tra club ricchi e quelli meno facoltosi.

Ma chi odia il calcio pensando che sia il simbolo di tutti i mali, sbaglia.

L’esempio della NBA

Un esempio che può essere definito precursore nella gestione del problema del crescere degli investimenti, può essere quello della NBA. Il campionato professionistico del basket americano è stato il primo a subire l’influsso di una corsa al rialzo del cartellino e degli ingaggi degli atleti.

Per capire i meccanismi della NBA, occorre dapprima spiegare bene come essa si articola. Le squadre sono circoscritte in un numero limitato controllato dalle “licenze” che la federazione rilascia. Senza promozioni né retrocessioni. Un imprenditore che volesse investire acquistando un team deve ottenere una licenza federale. Questa viene rilasciata con mille cautele e a fronte di infinite assicurazioni, cauzioni e aspetti burocratici. L’alternativa è ovviamente quella di acquistare una società esistente.

I giocatori vengono acquisiti attraverso un sistema di mercato particolare a chiamata. Per ogni stagione che inizia esiste una graduatoria che determina quali squadre avranno il diritto di chiamare a sé i giovani più promettenti emersi dai campionati universitari. In alcuni casi i posti più in alto della graduatoria sono oggetto essi stessi di scambio. A scegliere per prime sono le società più deboli, e in questa maniera si rende più equilibrato il campionato.

Esiste ovviamente anche la strada del mercato tradizionale, e qui i prezzi del cartellino di un campione sono difficilmente controllabili. Un limite è stato posto invece agli ingaggi che i cestisti percepiscono.

Attraverso il meccanismo del Salary-Cap gli stipendi hanno un tetto massimo oltre il quale la società non può andare. ed esiste anche un limite massimo complessivo della spesa destinata agli stipendi.

Questa soluzione è stata possibile da realizzare perché la NBA non ha rivali. Si tratta di un campionato unico nel mondo della Pallacanestro, che non teme la concorrenza dei campionati nazionali di tutti gli altri stati del globo.

Tetto degli stipendi anche da noi?

La domanda è: sarebbe possibile applicare anche da noi un Salary-Cap. La risposta è semplice: attualmente no.

Possiamo anche facilmente immaginare il perché. Cosa avverrebbe se la federazione italiana imponesse tale limite? Tutti i giocatori migliori emigrerebbero in campionati ove il Salary-Cap non esistesse.

E non sarebbe facile neppure per una federazione mondiale imporre un limite. Sarebbe una soluzione inutile in quanto la differenza di potenzialità tra i vari campionati è in alcuni casi abissale, e invece di programmare un livellamento, si faciliterebbe l’emigrazione di massa nei campionati maggiori in modo ancora più violento rispetto ad ora.

Insomma: un problema di difficile risoluzione. E per ora dovremo rassegnarci a veder crescere alcune cifre in modo spaventoso.

 

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