Come brilla e resta compatta una stella

Come brilla e resta compatta una stella

Effetti del terzo principio della Dinamica.

La sfida degli scienziati del terzo millennio è concentrato nel trovare la “teoria del tutto”. Si tratta dunque di scoprire quella soluzione che concilierebbe i dettami della Fisica Newtoniana alle recenti lusinghe delle teorie quantistiche.

I ricercatori si sono accorti che approssimandosi alla velocità della luce si inseriscono variazioni che mettono in crisi alcune conoscenze che sembravano consolidate.

Ciò non toglie che le scoperte e le teorie di Isaac Newton siano a tutt’oggi preziose per spiegare molte delle cose che conosciamo circa l’universo. Nel formulare i tre principi della Dinamica, il fisico e filosofo inglese ha tracciato veri capisaldi dell’attuale conoscenza. Ne troviamo riscontro su quasi tutti gli aspetti della Fisica e dell’Astrofisica. Ivi compreso il “funzionamento” delle stelle.

Siamo abituati a guardare le stelle e stupirci della loro bellezza. E ora che i radio-telescopi, ma ancor prima i telescopi ottici, ci hanno resi consci delle loro dimensioni, non possiamo che perderci nella grandezza della natura.

È legittimo, perciò, chiederci perché brillano e come le stelle producano la luce. E in definitiva, cosa sono?

Le stelle sono enormi palle di gas. Le loro dimensioni sono così imponenti da uscire dall’immaginazione umana. Pensiamo che il Sole, la nostra stella, che non è certo tra le più grandi e neppure di media grandezza, è circa 300.000 volte più grande della Terra. La maggior parte delle stelle della nostra galassia, la Via Lattea, sono molto più grandi del Sole.

Sappiamo inoltre che le stelle sono formate da diversi strati di gas, che a mano a mano che si procede verso il centro divengono più pesanti e più caldi. Giungendo a pressioni e temperature a dir poco infernali. Al centro del Sole si presume si raggiungano i 16.000.000 di gradi centigradi, con una pressione di 500 miliardi di atmosfere. Una forza di schiacciamento che si misurerebbe se esistesse una profondità marina di 5.000 miliardi di metri.

Le masse di ognuno di questi strati di gas sono molto superiori a quelle di qualsiasi pianeta. Cosa impedisce quindi a questi gas così pesanti di non collassare sul nucleo della stella? Si tratta infatti di un fenomeno che avviene solo quando la stella muore.

Fino a quel momento, però, l’astro è “vivo”. Ma perché?

Dobbiamo ricercare la causa nel fatto che una stella brilla grazie alle fusioni termo-nucleari che avvengono nella parte più interna di esse. È un processo che provvede a bruciare l’idrogeno in elio. La stella è quindi un grande bruciatore di combustibile.

Nell’eseguire il fenomeno, si produce dello scarto nella misura dello 0,7% dei gas utilizzati. Ed è proprio questa parte di risulta che viene trasformata in energia luminosa.

Essendo “energia”, essa risponde ovviamente alla formula di Einstein E=Mc^2, andando a bilanciare esattamente in virtù della 3° principio della Dinamica, la forza di gravità degli strati gassosi di superficie. Si ottiene quindi l’equilibrio idrostatico della stella, la compattezza degli strati esterni verso il centro, e le diffusioni vitali di luce. Una conferma all’intuizione newtoniana che “ad ogni azione corrisponde sempre una reazione uguale e opposta”.

Resta però la domanda di fondo: perché queste stesse leggi che constatiamo nell’infinitamente grande, non trovano conferme nell’infinitamente piccolo? Perché le particelle subatomiche non sono regolamentate dalle stesse leggi?

Si ringrazia l’Astrofisico Prof. Ivan Delvecchio, che con le sue lezioni ha reso possibile questo articolo.

 

 

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