Esplorazione spaziale, modalità e utilità

Esplorazione spaziale, modalità e utilità

L’esplorazione spaziale è divisiva? Sotto certi aspetti potrebbe anche essere così.

A fronte di molti, che si appassionano al pensiero di poter conoscere cosa c’è oltre le barriere fisiche del nostro pianeta, molti altri si chiedono con perplessità a cosa serva “buttare” così tanti denari e risorse, quando c’è molto da risolvere sulla terra.

Indubbiamente si tratta di posizioni distanti, ma che nascono comunque da esigenze reali.

In realtà le missioni spaziali sono sono fini a se stesse e non producono “solo” benefici culturali. Attraverso esse possiamo sperimentare teorie scientifiche in condizioni che sulla terra non sarebbero riproducibili; gli studi corollari alle esplorazioni portano poi numerosi contributi a ricerche fondamentali. Pensiamo soltanto ai risultati sullo studio delle condizioni fisiche degli astronauti, che sono di aiuto per verificare la resistenza e migliorare le cognizioni terapeutiche, diagnostiche o preventive in Medicina. Le tecnologia traggono poi dalle missioni nello spazio grandi incrementi, così pure la tecnica e lo studio dei materiali.

Ma in definitiva in che cosa consiste l’esplorazione spaziale.

La si può suddividere in diverse modalità a seconda dello scopo che ci si prefigge, ovvero osservazione, raccolta materiale, esperimenti, ecc.

Ovviamente l’aspetto più suggestivo è quello del viaggio dell’uomo nello spazio. Lo sbarco sulla Luna e il prossimo sbarco sul pianeta Marte sono per il momento gli unici riferimenti in questo campo. In essi l’uomo cerca l’immortalità come specie, cercando di mettersi al riparo anche dall’eventualità della morte del nostro pianeta natale.

Sappiamo però che ci sono dei limiti sia in ambito fisico che temporale. Anche viaggiando alla velocità della luce, cosa che al momento è ritenuta impossibile, le distanze da coprire per “vedere” determinate parti dell’universo sono troppo grandi.

Abbiamo però la possibilità di vedere attraverso gli strumenti che l’uomo ha costruito: i telescopi

Il nome deriva dal greco τηλεσκόπος (vedere lontano), da cui deriva il latino telescopium, scelto da Galileo per questo strumento. La scoperta vera e propria fu di alcuni occhialai olandesi, ma Galileo la perfezionò e la adattò per la visione di stelle e pianeti.

Fino ai nostri giorni, il telescopio ha sempre indicato uno strumento ottico, ovvero qualcosa che permettesse di vedere attraverso gli occhi.

Oggi si attribuisce questo termine anche a ciò che consente di accorgerci dell’esistenza di qualcosa molto lontano, anche attraverso sensori che inviano immagini o semplicemente dei dati.

Ecco quindi che sono nate nuove tecniche di osservazione.

Abbiamo i telescopi ottici sulla Terra, e altri, che viaggiano nello spazio per avvicinarsi agli astri da osservare.

Nel campo del visibile, ovvero quei telescopi che inviano immagini, abbiamo Hubble che staziona a 540 km. dalla superficie del nostro pianeta, ma anche Euclid e Gaia che orbitano all’altezza di 1,5 milioni di km.

Numerosi satelliti invece inviano dati che viaggiano oltre o a frequenze inferiori della soglia visibile, ovvero Webb (infrarosso), Planck e Little Bird (microonde), IXPE (raggi X), Fermi, Calet e Dampe (raggi gamma), ancora Dampe, Limadou e AMS (raggi cosmici).

Recentemente abbiamo anche satelliti che scrutano l’universo captando le onde gravitazionali, e sono Lisa (in orbita a 50 milioni di km. dal nostro pianeta) e LGWA (384.000 km.).

L’ultima frontiera è rappresentata dai test di gravità

Come sappiamo la scienza è arrivata a verificare la relatività generale prospettata da Einstein, ma ci sono ancora molti lati oscuri in relazione alla differenza delle leggi fisiche tra microcosmo e macrocosmo. In questo ambito gli studi sono affidati ad alcuni satelliti, in una ricerca entusiasmante in cui l’Italia è protagonista.

I satelliti “responsabili” di questa delicata ricerca sono al momento Moonlight (orbita a 384.000 km. come LGWA), Lageos (5.800 km.), Gravity Probe B (640 km.) e LARES-2 (quello con massiccia partecipazione della nostra Agenzia Spaziale, 6.000 km.).

L’insieme di tutto ciò costituisce solo una parte della ricerca spaziale, a cui si aggiungono vari settori, come ad esempio il SETI che raccoglie segnali dallo spazio per individuare eventuali forme di vita extra-terrestre, o altri molti gruppi di ricerca specifici circa le galassie, la vita e formazione delle stelle, eccetera.

Insomma un campo interessante, suggestivo, ma anche molto utile in senso concreto per la vita di tutti noi.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

*